La mia prima esperienza di esplorazione dei sogni in gruppo è avvenuta molti anni fa. Ero laureata da poco e non avevo ancora cominciato la formazione per diventare psicoterapeuta- la legge di regolamentazione della professione di psicologo infatti non esisteva ancora- ma ero già appassionata al linguaggio onirico e, avendo la fortuna di vivere in un’epoca in cui il confronto collettivo era molto praticato, avevo proposto ad un gruppetto di donne, con le quali m’incontravo ogni settimana per quella che allora chiamavamo autocoscienza guidata, di occuparci esclusivamente dei nostri sogni, dato che spesso ce li raccontavamo durante i nostri incontri.
Dopo un anno l’esperienza si era conclusa per ragioni pratiche, ma l’impressione comune era stata che avevamo fatto un bel pezzo di strada insieme sulla via della consapevolezza, grazie alla collaborazione dei nostri sogni, che ci permettevano di entrare direttamente in contatto con le nostre emozioni private e di approfondire la relazione tra di noi.
Nel corso dell’esperienza erano infatti accaduti curiosi fenomeni onirici. Ad esempio succedeva che due di noi, nel corso della settimana, facevamo sogni così simili che sembravano due scene dello stesso sogno o che una sognasse personaggi o scene già sognate da un’altra. Fenomeni che in parte mi stupivano, ma che mi sembravano anche del tutto naturali, dal momento che ci occupavamo di una materia così multiforme, densa e intimamente profonda come i sogni…
E oggi, quasi tre decenni dopo, la mia frequentazione professionale del pianeta inconscio mi ha confermato che un gruppo di persone capaci di ascoltarsi interiormente, di stare in contatto con il proprio cuore e di esprimersi in modo aperto e sincero, è una straordinaria cassa di risonanza delle emozioni che abitano nell’inconscio e che tutti, anche dopo anni di lavoro con la nostra psiche, talvolta stentiamo a riconoscere come nostre.
Un gruppo che a qualsiasi titolo si occupa di dare espressione al mondo emotivo dei partecipanti, infatti, tende ad esprimersi come una sola persona con tante voci, ognuna con la sua sensibilità e le sue zone d’ombra. E diventa quindi uno strumento particolarmente adatto all’esplorazione di un sogno, che è fatto di immagini bizzarre, di percorsi labirintici e di emozioni talvolta indecifrabili e che rappresenta sempre, come scrive James Hillman nel suo affascinante libro “Il sogno e il mondo infero”, un ponte che ci conduce nell’aldilà, inteso sia come luogo delle nostre emozioni indicibili che come misterioso luogo dell’anima.
La voglia di riprendere la ricerca sul sogno e in particolare sulle dinamiche emotive che il sogno produce all’interno di un gruppo, l’anno scorso ha trovato soddisfazione grazie alla vivace e generosa collaborazione di una trentina di colleghi, la maggior parte in corso di formazione alla psicoterapia e qualcuno già psicoterapeuta.
Il compito dei partecipanti al Laboratorio dei Sogni, come ho chiamato questa esperienza, è semplice: offrire i propri sogni come materiale di lavoro comune e se stessi come diapason delle emozioni sommerse di chi racconta il sogno. Emozioni che solo di notte, quando il controllo della mente razionale si addormenta, possono emergere liberamente ed essere ascoltate.
Al Laboratorio quindi non prendiamo alla lettera il sogno, non lo interpretiamo e non lo leggiamo simbolicamente, non teorizziamo e non cerchiamo la sua spiegazione, ma ci immergiamo nelle immagini rievocate dal sognatore e cerchiamo di amplificare le sue emozioni per rendergliele udibili e comprensibili, grazie al fatto che tutti in quel momento siamo al suo servizio e parliamo per conto delle sue voci più segrete e silenziose.
Come avviene il processo? Dopo un breve esercizio di concentrazione e di ascolto del corpo, che ha lo scopo di sintonizzare la mente sulla capacità immaginativa-evocativa dell’emisfero destro, ma anche di creare un collegamento profondo e affettivo tra i presenti, qualcuno racconta un sogno e gli altri partecipanti, attraverso impressioni personali, associazioni libere e domande, aiutano il sognatore ad osservare i particolari delle scene, ad interrogare i personaggi, ad amplificare i movimenti raccontati… Il tutto dal punto di vista soggettivo, perché l’ascolto di ognuno va indirizzato sulle proprie emozioni, che in quel momento stanno risuonando con l’inconscio del sognatore e che sono messe in scena dal suo sogno.
Dall’anno scorso ad oggi ho lavorato con tre gruppi diversi di colleghi con un minimo di tre incontri per gruppo, e dal mese prossimo lavorerò anche con un quarto gruppo, e sempre, durante gli incontri di 90 minuti, arriva il momento in cui il sognatore, spesso con sorpresa, coglie il collegamento tra il racconto onirico e qualche nodo o conflitto interiore che sta affrontando proprio in quel periodo.
Ogni sogno ricordato è infatti un’istantanea del presente e raccontarlo ed esplorarlo in un gruppo pronto ad ascoltare e ascoltarsi senza pregiudizi, lo trasforma in una fonte di informazioni preziose per tutti i partecipanti, che in modo semplice e creativo come nel gioco dei bambini, possono acquistare maggiore lucidità sui movimenti emotivi inconsapevoli che avvengono costantemente dentro di noi.
Per il momento mi fermo qui. Avrei molte altre impressioni da raccontare, ma una ricerca approfondita richiede tempo e metodo e mi riservo di scrivere su quanto emerge nel Laboratorio un po’ alla volta, man mano che diventerà chiaro e costante.
L’esplorazione dei sogni in gruppo è infatti sempre un work-in-progress….